martedì 16 marzo 2010

6. Navigare dopo il resto della notte. La nuova Babele caotica oltre il dionisiaco orgiastico

Che fine ha fatto la soggettività nell'era della globalizzazione, o meglio come ne è stata influenzata? Con il termine glocale si è provato a contenere la polarità di una società globale strutturata in un qualche modo anarchicamente e rizomaticamente e un individuo proteso a difendere i propri interessi particolari, provando a mettere in atto nuove strategie esistenziali per sopravvivere ancora davanti a tale vasto orizzonte esistenziale. Insomma si tratta di gestire il dilemma di essere parte di un sistema relazionale aperto, imprevedibile, proprio per questo altamente informante1, senza giungere per forza di cose a lasciarsi annullare del tutto in esso. In quanto si continua a rimane nonostante tutto quel “resto”2 indissolubile, in qualche modo ancora resistente, mai assimilabile fino in fondo al sistema. Comunque il mito della persona concepito nella modernità come protagonista indiscusso, sebbene del tutto attuale almeno rimanendo all'interno delle logiche della comunicazione e del potere a esse associato, non è più proponibile, se non come perversione o deviazione anomala3. Restano piuttosto le vestigia anonime di individui passati e presenti sempre più sconosciuti. In quanto di essi rimangono nella stragrande maggioranza dei casi solo delle tracce residuali sempre meno attribuibili o riconducibili ai legittimi proprietari. Piuttosto a parlare rimangono solo le opere postume. Un po' come se ci si chiedesse chi ha costruito le piramidi. Sarebbe del tutto inutile e ozioso. Oggi le piramidi come porta verso l'assoluto e il cielo sono state sostituite da internet. L'immensa costruzione informatica a disposizione del mondo intero, costruita grazie alle risorse di milioni, anzi miliardi di soggetti che rimarranno alla fine per sempre sconosciuti. Nonostante, anzi, proprio in virtù di tutte le innumerevoli testimonianze sparse lasciate sottoforma di storie personali documentate, foto, filmati, saperi. In fondo basta pensare un attimo alla quantità spropositata dei video del tutto anonimi rintracciabili su Youtube. Reali eppure con la sensazione di essere finti allo stesso tempo4. Ma ciò che conta è la loro esistenza e disponibilità per qualcuno. Alla fine però a essere mutato è il rapporto con le vecchie forme di riconoscimento, di imputazione e di responsività. In fondo è come essere una goccia d'acqua in mezzo all'oceano. Niente più, niente meno. Di per sé importante per la fisionomia del tutto, ma affatto visibile. Nonostante il tentativo pressoché inutile per esempio di 350 milioni di utenti su Facebook di preservare la propria dimensione privata pubblicando una marea di foto, provando a salvare la propria individuale storia. Comunque, anche all'interno di questa prospettiva le posizioni non si sono conciliate né pacificate del tutto. Piuttosto si sono accentuate ancor più le divergenze. La presenza e l'influenza dell'alterità è in un qualche modo sempre più dominante. Anche se il rapporto di opposizione dialettica tra simili in lotta tra loro non avviene più direttamente. In quanto il confronto è sempre più mediato dal mezzo e dalla distanza. Posti all'interno di uno spazio transizionale infinito, ci si confronta come in una sorta di agorà virtuale dove è possibile sospendere il dialogo in ogni momento o ancor più confrontarsi a partire dalle semplici tracce sparse di un umanità dissoltasi o privatasi. Piuttosto prevale un confronto virato solipsisticamente, in questo senso più vicino all'idea di autorganizzazione5 funzionale e creativa, in cui non ci si espone mai direttamente. In ogni caso si continuerà a prendere posizioni, a dare voti e pareri, mantenendo un anonimato coatto, un po' come accade nell'urna democratica estesa però a un livello esponenzialmente più vasto. Almeno fino a un certo punto, chiamarsi Caio o Sempronio che differenza potrà mai fare. Questa posizione è stata recepita soprattutto da quei movimenti anarco-collettivi tipo i Luther-Blisset in passato e i Bartleby oggi. La globalizzazione ha fatto saltare dall'interno il teatro della mente cartesiano6, proprio per averlo portato alle sue estreme conseguenze. Tutto dipende dai punti di vista. La platea si è svuotata degli spettatori reali. Il buco alla serratura, una volta aperto verso un mondo circoscritto e ora rivolto verso l'illimitato, ha imposto un soggetto più astratto, capace di gestire una quantità enorme di informazioni complesse altamente codificata e filtrata dal mezzo tecnologico. Alla fine l'emozione è sempre più mediata e filtrata, tradotta, ricreata e riproposta in modi prima impensabili... Comunque per ritornare a questo nuovo possibile attore postcartesiano, non c'è più lo spazio per un soggetto personale rivendicativo. Oggi internet sta imponendo un metalinguaggio in cui i soggetti sono sempre più ridimensionati, periferici e lontani. Cambia anche il modo di concepire le relazioni sempre più puntuali, occasionali e allo stesso tempo meno responsabilizzate. Vissute in modo più individuale e solipsistico. La globalizzazione ha cambiato il modo di vivere lo spazio tempo. L'identità si è fatta diffusa, impalpabile, in qualche modo incomunicabile, misteriosa e sconosciuta allo stesso tempo. In quanto viene a mancare uno specchio condiviso con cui confrontarsi e riconoscersi. Almeno fino a un certo punto. Lo spazio di internet è divenuto piuttosto uno spazio transizionale, cioè uno spazio espanso in cui è piuttosto possibile sperimentare un tempo ludico, ricreativo e creativo tout court. Anche perché le informazioni disponibili sono praticamente illimitate. Le possibilità di scambio e di confronto pure. Sebbene nelle modalità sopradette. Così l'identità determinata e statica non ha più senso. Ci si può solo perdere in una dimensione nomade e raminga. In un flusso continuo. Non senza aver prima appreso l'arte di navigare in un mare tanto vasto. Pena il naufragio7. Tale confronto è possibile solo tendendo verso un'identità infinità, però non nel senso di inglobare l'altro divenendo l'altro, ma al contrario abbandonando tale pretesa. Casomai acquisendo all'occorrenza una nuova inaudita capacità di adattamento e di accoglienza. Avendo fatto spazio, anche grazie alla scelta di essersi equipaggiati di un bagaglio leggero, poco ingombrante però massimamente versatile. In un qualche modo lasciando perdere l'idea di un mondo pacificato e riconciliato, come auspicato in passato da tante religioni o sistemi filosofici. No, non si tratta di tendere verso una babele armonica, tutt'altro. In un certo senso si va a entrare in un ulteriore livello di caos mai prima prodotto. Piuttosto bisogna imparare a gestirlo e a conviverci, non rifiutando il dissidio, il disarmonico e il dissonante. Ciò è possibile innanzitutto spogliandosi, denudandosi fino al grado zero di significazione, al grado zero della soggettività, al grado zero della rappresentazione e del linguaggio. Questo è un possibile senso da attribuire al compimento nichilistico. Non per arrivare al niente o al nulla assoluti, ma per costituirsi come pura eccezionalità momentanea, come simbolo8 istantaneo votato al “presentismo” più radicale. Così da riuscire a saper in qualche modo fronteggiare qualsiasi evento nuovo, però nutrendo la sensazione di non essere al momento in grado di fare nulla. Come si fosse né carne né pesce. Tutto ciò però non prima di essersi in qualche modo affrancati dai lacci di un vitalismo cieco e orgiastico della nuda vita, capace di possedere da tergo se non lo si affronta e lo si contrasta in qualche modo9. Piuttosto si tratta di imparare a essere ogni volta in qualche modo strateghi di sé stessi. Pronti a nascere e morire nella frazione di un secondo. Quando non si decide addirittura di diventare artefici di tale processo accelerandolo volutamente. Emergentismo puro. Sospesi tra l'essere informi e il prendere forma. Il più vicino possibile alla vita nuda e allo stesso tempo sapendo di indossare una maschera transitoria quanto effimera. Insomma di incarnare un simulacro identitario e di essere solo di passaggio. Non per questo però senza essere comunque in grado di far sentire la propria voce e di influire in qualche modo in tale processo di solito al lavoro silenziosamente da tergo. Si potrà così ancora tentare di ricostruire una storia, una narrazione, individuare delle inclinazione e delle ricorrenze, ma fino a un certo punto. In questo modo si prova a eludere l'arroganza narcisistica di voler tutto assoggettare, inglobare, possedere, incamerare. Perchè si è consapevoli di non poter possedere nulla... nulla ci appartiene. Siamo solo parte di qualcosa di più grande che in qualche modo ci sovrasta e ci predetermina. Volenti o nolenti. Ci piaccia o no. Senza possibilità di appello. Almeno per ora. Rimane comunque lo sdegno, almeno se si accetta di non dare un senso compiuto, di non accettare il gioco come fosse solo un destino ineluttabile alla fine positivizzato attraverso delle strategie di adattamento non selettivo e l'abbandono sistematico, passivo a esso. L'alterità non va negata, ma riconosciuta pienamente senza però arrivare per forza di cose a identificarvisi totalmente. Senza pacificarsi al suo interno lasciandosene passivamente assorbire e annullare. Piuttosto si prova a esserne la resistenza locale, seppur anonima e sconosciuta. Ma non per questo meno funzionale al sistema tutto. L'alienazione insomma rimane irricomponibile e in qualche modo costitutiva. La scissione pure. Sebbene vengano traslate a un ulteriore livello10. Si riconoscono le influenze e le similitudini, si potrebbe dire le analogie, ma anche le differenze ineliminabili. In qualche modo noi siamo il negativo di quell'alterità e tale rimaniamo, senza arrivare a nessuna sintesi pacificatoria. Rimane la consapevolezza che si è xenos, hostis a partire da sé stessi. Si accoglie, si apre le porte sapendo però dei rischi mai eliminabili. Ma non si può fare altrimenti.
In questo modo ci si va a situare nel punto tangenziale di sospensione tra biòs e zoé, tra soggetto vivente determinato e “vita nuda”. Si può ancora parlare di soggetto, però minimo, spogliato di tutto. Una sorta di kenosis non più solo sacrificale ma rigeneratrice almeno fino a un certo punto. Insomma ci si avvicina sempre più a un soggetto al suo grado zero. Un a-soggetto o forse meglio un ur-soggetto, in quanto ulteriore articolazione semantica attualizzata di quell'oltre uomo, übermensch, di nicciana memoria. Sebbene depotenziato, però ancora in gioco non senza una forte carica ironica per la consapevolezza tragica ma anche comica della sproporzione rispetto l'assurdo infinito davanti. Se il bambino eracliteo era meravigliato e affascinato dalla visione della grandezza del kosmos11, qui ci si meraviglia piuttosto dell'entità del caos. Non smettendo affatto di pensare che il caos è 'na brutta bestia, una difficile gatta da pelare. Insomma si continua a giocare con il fuoco. Con la possibilità del disastro sempre presente. Se si continua a raccontarla è perché è andata miracolosamente bene ancora una volta. O forse è andata male. Chi lo può effettivamente stabilire definitivamente. Il mostruoso, il deinon, è lì davanti. Impossibile sottrarsi al confronto. Si può solo mettersi in gioco ancora. Però lasciando perdere le celebrazioni, la ri-conoscenza e le com-memorazione. Al limite ci si può soffermare a catalogare l'esperienza, limitandosi alla sua indicizzazione, per attestarne la possibilità, l'esistenza nuda... chissà. In fondo come poter aspirare a acquisire un criterio stabile per selezionare ciò che deve essere salvato, conservato, se la categoria dell'utile si è fatta sempre più aleatoria e imponderabile. Basti pensare al momentaneo fallimento del pensiero utopico o alle conseguenze dell'autoritarismo religioso o politico passato e recente. Rimane comunque la visione immensa delle rovine poste dietro le proprie spalle. Resti per ora inutili, in qualche modo disumani. Macerie con le quali si può ricostruire ben poco12. Ma non per questo vanno dimenticati. Piuttosto è fondamentale la testimonianza di tale processo cronico. Di tale disfacimento senza sosta verso il disumano. È questo il tempo del “presentismo”, privato però della sua deriva ottimistica e speranzosa di salvaguardare la natura e l'uomo. In nome del principio di “responsabilità” o di “precauzione”, oggi tanto di moda. E se non ci fosse nulla da salvare? Chi è l'uomo, cos'è la natura. Chi saprebbe a tutt'oggi rispondere? Come identificarsi con un dispositivo rispetto a un altro se non in funzione delle circostanze presenti. Secondo la logica del momento opportuno, il kairos. Piuttosto non rimane che divenire puntualmente altro, con uno scarto assoluto tra il prima e il dopo, tra l'identità presente e quella passata o futura. Strutture, organismi leggeri e precari, perché altro non si è. Precari a vita. Senza più il bisogno di nasconderlo o di mascherarlo con sovrastrutture. Il tempo della fine è ora. È il tempo del soggetto minimo. In ogni singolo istante nasce già morto, ma non fa nulla, non può farci nulla. Può solo partecipare a tale sinistro gioco e viverlo ogni volta come fosse l'ultimo o il primo. Non fa differenza. Qualcosa di più grande continua a informarci, a darci vita, oltre la nostra volontà. Un qualcosa a sua volta iscritto in un tempo “profondo”13 riconducibile fino all'alba dei tempi. Non più storici ma naturali, ancor più cosmici, sempre che abbia ancora senso associarli al lemma tempo.

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